Introduzione all'amministrazione di sostegno


La presente sezione propone una breve introduzione alla materia finalizzata a delineare l'istituto, ed è rivolta a chi desidera assumere tale incarico ma non l'ha mai svolto in precedenza. Sul punto si evidenzia l'opportunità di partecipare agli incontri di aggiornamento che l'Ordine degli Avvocati di Pordenone organizza sul tema al fine di migliorare la propria preparazione in materia.

La piattaforma si intitola Esistenza & Uguaglianza e il nome vuole porre in luce due dei pilastri della materia cioè, più precisamente, il concetto di esistenza rappresentato dai termini cura e interessi e il principio di uguaglianza di cui all'art. 3 comma 2 della Costituzione. Tutto ciò al fine di sottolineare lo stretto legame tra le disposizioni del codice civile in tema di amministrazione di sostegno e uno dei principi fondamentali della Costituzione.

L'articolo della Costituzione appena citato recita:

La Repubblica rimuove gli ostacoli di ordine sociale che limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza impediscono il pieno sviluppo della persona umana.


Tale principio è stato riscritto all'interno del codice civile nelle norme sull'amministrazione di sostegno che possono essere riassunte come segue: l'amministratore di sostegno cura l'esistenza del beneficiario limitandone nel minor modo possibile la capacità di agire (libertà), si avvale dei poteri di rappresentanza e assistenza (uguaglianza) e, nell'attività di cura esistenziale, tiene in considerazione i bisogni e le aspirazioni del beneficiario (pieno sviluppo della persona umana). Sin da ora non si può che evidenziare la presenza di diversi termini legati ad un linguaggio sociale destinato a mutare nel tempo e ciò comporta che tale istituto si evolva e si adatti ai tempi. Ciò in quanto il significato dei termini ivi inclusi si agganciano fortemente con la realtà (es. vita quotidiana – art. 409 co. 2 c.c.) e mutano nel corso degli anni.

Il concetto di ostacolo sociale – art. 404 c.c.

Entrando nel dettaglio il primo termine che si rinviene è quello di ostacolo sociale. La definizione è rinvenibile all'art. 404 c.c. ove si parla di infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica. 

È evidente che a causa dalla presenza di un ostacolo la persona non riesce più ad occuparsi dei propri interessi ovvero ad effettuare correttamente le scelte relative alla propria vita come quelle riguardanti la propria salute oppure scelte residenziali o di altra natura.

Il concetto di ostacolo sociale si è ampliato sempre più nel corso del tempo. Agli esordi tale strumento era riservato alle persone anziane affette da malattie neurodegenerative nonché alle persone con un disagio mentale. Tale platea si è via via estesa sempre più includendovi le persone con dipendenza da sostanze e – da ultimo –anche i giocatori d'azzardo patologico. Non è escluso che in un prossimo futuro si possa ampliare ulteriormente tale concetto. In tutti i casi spetterà al Giudice valutare la necessità di nominare un amministratore di sostegno, in particolare nelle casistiche di dipendenza più complesse.

Il concetto di libertà come minore limitazione della capacità di agire – art. 409 c.c.

L'art. 409 c.c. traduce il termine di libertà di cui all'art. 3 co. 2 Cost. Tale disposizione del codice recita:

Il beneficiario conserva la capacità di agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l'assistenza necessaria dell'amministratore di sostegno.
Il beneficiario dell'amministrazione di sostegno può in ogni caso compiere gli atti necessari a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana.


Importante è il comma 2 dove si parla di "esigenze della propria vita quotidiana" ovvero viene lasciata un minimo di libertà al soggetto che può occuparsi delle piccole cose della vita di ogni giorno. Anche qui si vede come si trovi traccia del concetto di esistenza definita come "vita quotidiana" ovvero come libertà, almeno in parte, di occuparsi di alcuni aspetti minimi dell'esistenza (acquistare un caffè al bar, il giornale ecc).

L'uguaglianza tradotta dai poteri di rappresentanza e assistenza – art. 405 co. 5 n. 3 e 4

Il concetto di uguaglianza è stato tradotto con i poteri di rappresentanza e assistenza (art. 405 co. 5 n. 3 e 4) c.c.. Rappresentare significa agire in nome e per conto del beneficiario mentre assistere significa partecipare all'atto o alla scelta insieme allo stesso. Volendo provare a fare un esempio si può pensare a chiunque si reca presso un istituto di credito per effettuare un'operazione allo sportello, ad esempio un bonifico per pagare una fattura. È del tutto evidente che una persona con un ostacolo potrebbe non riuscire a recarsi presso l'istituto di credito e avrà quindi necessità di un rappresentante che in suo nome e per suo conto effettui il bonifico. Per fare ciò il rappresentante dovrà essere munito di un potere di rappresentanza che gli verrà conferito nel decreto di nomina. Con tale potere l'amministratore si recherà in banca per poter effettuare il pagamento. In questo modo il beneficiario è concretamente uguale a qualsiasi altra persona che si reca in banca per pagare una fattura tramite bonifico.

Detto ciò, tale strumento giuridico non può e non deve ridursi però ad un mero strumento di rappresentanza ovvero uno strumento necessario solo ad apporre una firma per la gestione delle questioni burocratiche ed amministrative.

Il pieno sviluppo della persona umana - art. 410 co. 1 c.c.

Il concetto di pieno sviluppo della persona umana di cui all'art. 3 co. 2 Cost. si realizza quando una persona è in grado di soddisfare i propri bisogni e le proprie aspirazioni. È evidente che una persona si sente realizzata quando riesce a concretizzare un proprio desiderio.

Il concetto di cui si tratta è stato tradotto all'art. 410 co. 1 c.c. laddove si legge:

Nello svolgimento dei suoi compiti, l'amministratore di sostegno deve tener conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario.


"Deve tener conto" significa che non spetta allo stesso vagliare i bisogni e le aspirazioni del beneficiario ma l'amministratore deve attenersi alle indicazioni di psicologi, terapeuti ecc. ovvero chi ha in cura la persona. In buona sostanza non ci si deve sostituire al terapeuta, ma dialogare con lo stesso per permettere il corretto pieno sviluppo della persona umana, ovvero soddisfare i bisogni e le aspirazioni legittimi e non quelli dannosi per l'individuo o – anche – realizzare le richieste provenienti dal beneficiario con i dovuti accorgimenti suggeriti da chi ha in cura il beneficiario.

L'esistenza rappresentata dai concetti di cura e interessi – art. 408 co. 1 c.c.

L'esistenza è stata rappresentata all'art. 408 co. 1 c.c. ed è stata scissa in due e delineata in forma astratta con i concetti di cura e interessi. La rappresentazione astratta dell'esistenza permette di ricondurre nelle due sfere qualsivoglia aspetto della vita umana (salute, relazioni, patrimonio ecc.). È necessario evidenziare che le due aree sono strettamente connesse e interagiscono tra di loro.

Passando all'analisi dei due termini e volendo provare a fornire una definizione degli stessi è possibile sostenere che cura è un concetto che – per semplicità – è possibile rappresentare come la persona e la sua parte interiore (salute, bisogni, aspirazioni, sentimenti/relazioni) mentre interessi è ciò che ruota intorno alla stessa di carattere patrimoniale ma non solo (es.: bollette, c/c, mutui, affitto, rinnovo carta di identità ecc.).

Ritornando al termine di cura – quello di più difficile collocazione - una prima definizione è rinvenibile già nel codice stesso all'art. 410 co. 2 c.c. ovvero negligenza nel perseguire gli interessi e nel soddisfare i bisogni e le richieste.

Non si parla più di interessi e cura come all'art. 408 co. 1 c.c. bensì di interessi e soddisfare bisogni e richieste. Aver cura di una persona significa quindi soddisfare i bisogni e le richieste. Oltre a ciò il Giudice Tutelare può dettare istruzioni in tema di interessi morali (art. 44 disp. att. c.c.) e – pertanto - il concetto di cura non può non involgere anche la sfera morale del beneficiario ove – ovviamente – ciò si rendesse necessario. Nel corso degli anni il termine "cura" ha assunto il valore di diritto alla salute e pertanto la possibilità per l'amministratore di dialogare con i medici circa le condizioni di salute del beneficiario. 

Infine non si deve escludere che nel prossimo futuro cura e interessi possano assumere altre accezioni alla luce del mutato contesto sociale, come evidenziato in premessa il presente istituto si adatta al mutare del tempo e delle esigenze.

Il dovere di cura esistenziale – artt. 408 co. 1 c.c. e 410 co. 2 c.c.

Chiarito il concetto di esistenza con i termini di cura e interessi è ora necessario evidenziare il fulcro dell'istituto rappresentato dal dovere di cura esistenziale. Quest'ultimo si evince dal combinato disposto degli articoli 408 co. 1 e 410 co. 2 c.c. Da un lato il Giudice Tutelare sceglie la persona con esclusivo riguardo alla cura e agli interessi (cioè all'esistenza) dall'altro in caso di contrasto di scelte (relative all'esistenza) o di negligenza nel perseguire gli interessi o nel soddisfare i bisogni e le richiese (cura) il Giudice Tutelare adotta i provvedimenti che ritiene più idonei come, ad esempio, sostituisce l'amministratore di sostegno con altro. Da un lato quindi il Giudice Tutelare sceglie la persona più idonea a curare l'esistenza del beneficiario mentre dall'altro – ad esempio – rimuove l'amministratore se non si interessa dell'esistenza. L'art. 410 c.c. è intitolato doveri dell'amministratore di sostegno e quindi è dovere di questo non disinteressarsi dell'esistenza del beneficiario. Ciò significa che l'amministratore non dovrà essere sempre presente ma semplicemente non dovrà disinteressarsi in modo assoluto delle vicende relative alla vita del beneficiario. Interessarsi dell'esistenza significa intervenire nella vita del beneficiario, cioè nelle due sfere di interessi e cura, per garantirgli libertà, uguaglianza e pieno sviluppo della persona umana ma anche per tutelarlo e proteggerlo. Tale chiave di lettura porta a sostenere che, oltre a garantire un diritto costituzionale, si permette ad ogni essere umano di non essere mai completamente solo ed emarginato dalla famiglia e dalla società ma di avere sempre un punto di riferimento in caso di necessità.

Volendo provare a svolgere qualche esempio. Nel decreto di nomina non è incluso il potere di assistere il beneficiario nelle scelte relative alla salute e – in seguito al peggioramento di tali condizioni – si renderà necessario estendere i poteri dell'amministratore di sostegno vista la minore autonomia decisionale del beneficiario e – quindi – l'amministratore si attiverà a tal fine garantendo uguaglianza nella sfera della cura. Ciò implica che l'amministratore di sostegno è chiamato ad interessarsi dell'esistenza del beneficiario garantendo l'uguaglianza allo stesso.

In altri casi il dovere di cura esistenziale può condurre a provvedimenti di tutela e di protezione del beneficiario. Può accadere che i contrasti familiari si acuiscano a tal punto da danneggiare la sfera morale del soggetto il quale soffre per tale situazione. Di tal fatta l'amministratore si attiverà presso il Giudice Tutelare poichè si renderà necessario – ad esempio – regolamentare, previa attività istruttoria, le visite o adottare scelte residenziali diverse al fine di proteggere la persona da indebite pressioni o situazioni di stress che risultano ancor più pesanti stante la presenza di un ostacolo.

Il dovere di cura esistenziale si concretizza quindi nell'essere presente – quando necessario – al fine di risolvere i problemi esistenziali dell'individuo, garantirgli la maggior libertà possibile o l'uguaglianza necessaria e – in ogni caso – essere di ausilio per permette al beneficiario – ove possibile – di giungere al pieno sviluppo della persona umana (410 co. 1 c.c.).

In conclusione interessandosi dell'esistenza del beneficiario si permetterà allo stesso di vivere una vita il più possibile uguale a quella di molte altre persone facendo sì che l'ostacolo incida il meno possibile nella vita di un essere umano.

A riprova di tutto ciò è possibile riportare quanto sostiene la Cassazione sul tema (Cass. Civ. n. 13584/06) ove si evidenzia che questo istituto è stato introdotto per permettere di trattare le persone

in un'ottica meno custodialistica e maggiormente orientata al rispetto della dignità umana e alla cura complessiva della persona e della sua personalità, e non già del solo suo patrimonio.

L'art. 404 c.c., il concetto di "provvedere ai propri interessi" ed il problema del "può"

Tale norma non viene affrontata per prima bensì per ultima in quanto solo analizzando tutto il contesto normativo si può comprendere la portata di tale disposizione.

L'articolo in questione recita:

La persona che, per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, può essere assistita da un amministratore di sostegno, nominato dal giudice tutelare del luogo in cui questa ha la residenza o il domicilio.


Tale disposizione pone almeno due problemi ovvero cosa si debba intendere per incapacità di provvedere ai propri interessi e la facoltà di attivare tale strumento a fronte della presenza di un ostacolo e relativa incapacità. In buona sostanza non sussiste un obbligo di nomina qualora sussistano entrambe tali requisiti ma solo una possibilità. In giurisprudenza e in dottrina tutt'oggi si discute sulla portata di tale facoltà.

Partendo dal concetto di provvedere ai propri interessi non si può certo limitare tale termine agli interessi solo di carattere economico. Sul punto basti pensare a quanto previsto dall'art. 44 disp att. c.c. ove si parla di interessi morali e patrimoniali. Ciò a dimostrazione di come il concetto di interesse, privo di altra declinazione, ha una valenza ed una portata molto ampia. Ciò trova conferma anche nei provvedimenti dei Giudici Tutelari che a volte attivano questa misura solo per gli aspetti relativi alla sfera della cura escludendo il lato patrimoniale. Per tale ragione con il termine di "provvedere ai propri interessi" si vuol indicare l'incapacità da parte di una persona di occuparsi, in tutto o in parte, degli aspetti relativi alla propria vita e delle scelte che possono appalesarsi nell'arco dell'esistenza della stessa. Solo così si può giustificare un provvedimento di nomina che si occupa solo degli aspetti relativi alla cura.

In merito al "può" se si parte dal considerare tale istituto quale strumento giuridico finalizzato a garantire l'uguaglianza sostanziale, ma anche a tutelare e proteggere il soggetto, si può giungere alla conclusione che tale strumento può non essere attivato laddove altri strumenti giuridici, meno invasivi, possono essere utilizzati. Ciò visto che comunque questo istituto invade la sfera esistenziale di una persona. Tale chiave di lettura sarebbe in linea con l'intero impalcatura dell'istituto, in particolare con l'art. 409 c.c. ovvero con la finalità di garantire la maggior libertà possibile.

In altra ipotesi si potrebbe leggere il "può" come alternativa agli altri istituti dell'interdizione e dell'inabilitazione. L'istituto in esame mira però ad un equilibrio tra l'uguaglianza nella vita di tutti i giorni e la protezione della persona mentre gli altri istituti dell'interdizione e dell'inabilitazione tendono solo a privare di poteri il soggetto oltre che ad essere dettati principalmente per amministrare il patrimonio dello stesso. Avvalersi di istituti quali l'interdizione o l'inabilitazione significa anche privare definitivamente il soggetto della possibilità – per tutta la vigenza della misura – di potersi veder presi in considerazione determinati bisogni o determinate aspirazioni che potrebbero legittimamente essere realizzate in tutto o anche solo in minima parte. Tutto ciò significa privare quindi la persona del diritto al pieno sviluppo della persona umana cioè alla realizzazione di sè come essere umano.

Il dibattito sul tema è tutt'ora aperto ed è volto a mantenere in vita istituti che forse non hanno più ragion d'essere ma – visto che non sono stati tutt'ora abrogati – devono trovare necessariamente una loro collocazione.

Sull'indennità per la cura esistenziale e sulle problematiche ad esso relative

L'art. 411 c.c. rinvia alle norme sulla tutela in quanto compatibili. Di tal fatta non esiste un richiamo ed un rinvio espresso ed integrale a tali norme. Il richiamo e – quindi – l'applicazione e la compatibilità di tali norme deve essere valutata articolo per articolo.

Svolta tale doverosa precisazione la norma oggetto d'esame recita:

L'ufficio tutelare è gratuito. Il giudice tutelare tuttavia, considerando l'entità del patrimonio e le difficoltà dell'amministrazione, può assegnare al tutore un'equa indennità.


Tale disposizione è stata dettata in tema di tutela ovvero per uno strumento destinato principalmente a tutelare il patrimonio. In tale istituto non c'è alcun cenno ai concetti di bisogni, richieste, aspirazioni e non c'è nemmeno una stretta connessione con un principio della Costituzione come invece in tema di amministrazione di sostegno. Si tratta di uno strumento principalmente custodiale dei beni del minore in attesa che quest'ultimo raggiunga la maggior età e possa – quindi – disporre del patrimonio liberamente.Giova evidenziare che tutta la giurisprudenza della Cassazione e della Corte Costituzionale sul tema verte sull'analisi di tale norma in rapporto agli istituti della tutela, dell'interdizione e dell'inabilitazione e mai dell'amministrazione di sostegno. Per tale ragione è evidente come l'art. 379 c.c. possa essere pienamente compatibile con tali istituti mentre con l'amministrazione di sostegno ne deve essere valutata la compatibilità ex art. 411 c.c..

La norma in esame prevede la gratuità dell'ufficio subordinando il riconoscimento di un'equo indennizzo in base a due fattori ovvero l'entità del patrimonio e le difficoltà nell'amministrazione. Tali difficoltà sono da ricondursi all'impegno nella gestione del patrimonio. Per tale ragione la somma che viene riconosciuta a titolo di indennità serve a "compensare" il tempo, i sacrifici, l'impegno posto in essere e i risultati ottenuti nell'amministrare il patrimonio.

Tale chiave di lettura non può essere applicata anche in tema di amministrazione di sostegno laddove i concetti di interessi e cura si equivalgono ed al centro è quindi posta l'esistenza della persona e non – invece – la gestione del patrimonio. Ritenere pienamente applicabile e compatibile tale norma con l'amministrazione di sostegno significa valorizzare la sola gestione del patrimonio di una persona tralasciando tutti gli altri aspetti.

In merito al termine "equo indennizzo" si evidenzia che lo stesso non ha nulla a che vedere con il concetto di rimborso spese ma nemmeno con quello di compenso ma si rifà al concetto di indennità, concetto già presente in altri istituti del codice civile e volto a riconoscere una somma finalizzata a ristorare il pregiudizio subito dall'amministratore al proprio tempo e alle proprie risorse personali, non facilmente quantificabili.

In conclusione sussistono due parametri ovvero l'entità del patrimonio e le difficoltà relative alla cura della persona, cioè della vita del beneficiario presa nel complesso. Tale chiave di lettura pone un problema ovvero il Giudice si trova impossibilitato a liquidare un'equa indennità laddove il patrimonio è carente ma le difficoltà relative alla cura della persona sono molteplici. Tale problema può essere ovviato solo con un fondo che permetterebbe – in tal modo – di garantire un diritto anche alle persone povere e le cui difficoltà nella cura sono innumerevoli.